lunedì 17 novembre 2014

E uscimmo a riveder le stelle...


2006
Steven Spielberg incontra un certo Jonathan Nolan, sceneggiatore, con una storia pronta tra le mani: un viaggio interstellare per salvare l'umanità. Il secondo nome che compare sulla sceneggiatura è di Kip Thorne, uno dei più importanti fisici contemporanei.
E così si inizia a lavorare su questo soggetto davvero intrigante. Ma con lo stop delle case di produzione cade tutto nel dimenticatoio.


2014
Nolan per Nolan. Il fratello che scrive collabora con il fratello che dirige. Ed è subito capolavoro.


La storia di Interstellar potrebbe quasi essere banale: la Terra sta morendo e l'unico modo per salvare l'umanità è trovare un altro pianeta vivibile. Semplice, no? Però condite il tutto con teorie scientifiche, spazio profondo, un futuro incerto ma forse non evitabile, leggi fisiche e scenari mozzafiato. Ed ecco che il film prende un'altra piega.
Già il tipo di futuro immaginato da Nolan fa riflettere: un anno non ben preciso, ma che ha portato i governi del mondo a convogliare le risorse economiche non nel campo militare, che non esiste più da decenni, ma nella fornitura di cibo. E le scuole sfornano agricoltori, non ingegneri.

Molti hanno fatto dei paragoni con 2001: Odissea nello spazio. Effettivamente Interstellar potrebbe essere il cugino, dato che ci sono tantissimi richiami e omaggi al gigante di Kubrick, basti pensare alla musica (in questo caso un Hans Zimmer non caciarone, ma inerente al soggetto del film) con gli accordi pieni di organo o le scale musicali stile Also Sprach Zarathustra di Strauss, i robot-guida che assomigliano tanto al Monolite Nero, il viaggio nel buco nero che assomiglia al viaggio nell'iperspazio di 2001, la stanza d'ospedale simile alla stanza bianca di Kubrick.



Ma a parte gli omaggi e i riferimenti, pensiamo a quello che ha realizzato Nolan.
Il cast è superbo, abbiamo un Matthew McConaughey intenso e molto convincente (e no, Nolan non l'ha scelto per l'Oscar, nè per True Detective, nè perchè DiCaprio o Bale erano impegnati. L'ha scelto dopo aver visto Mud), è l'uomo giusto al momento giusto.
La bella Anne Hathaway fa la parte della scienziata sicura di sè, anche se per tutto il film spesso ti fa pensare "che ci fa lei qua?", dato che tutto il lavoro sporco lo deve fare Matthew.
A sorpresa abbiamo un Matt Damon abbastanza cazzuto, anche se è ancora più cazzuta la Jessica Chastain nella parte della figlia del protagonista. Questa è una attrice che farà molta strada.
E poi due leggende: il sempre presente Michael Caine (qua che ricorda nella fisionomia a Thorne stesso), e Ellen Burstyn, che fa una brevissima ma commovente parte.


Come in The Prestige e in Inception, Nolan ci coglie impreparati nel finale dandoci il colpo di scena ad effetto, anche qua non si smentisce. Non lascia mai che determinati dettagli siano casuali, anzi, ce li spiega tutti alla fine, riportando tutto ad una logica perfetta. E nei dettagli tecnici è davvero un mito: finalmente, FINALMENTE, nello spazio non si sente niente!
Addio esplosioni alla Star Wars o suoni ovattati alla Gravity, nello spazio non c'è aria, quindi i suoni non si generano e non si propagano! Ed è subito ansia per lo spettatore, che vuole il suono, vuole i rumori, vuole che si senta qualcosa. Invece Nolan ci porta ad una sofferenza involontaria.


Ci sono un po' di buchi qua e là, e ci sono alcune parti un po' troppo affrettate (se io dovessi scoprire la sede segreta della NASA, dubito che dopo 10 minuti mi propongano di andare nello spazio...), però nel complesso va bene, anche perchè bisogna sempre ragionare che è un film e nulla più.

Ultime sensazioni provate in sala: il pubblico attento ed educato, vivaddio. Però la maggior parte ha vissuto il film un po' come me: con angoscia, commozione e riflessione.
La Teoria della Relatività narrata nel film fa capire che esseri piccoli che siamo, e come sono brevi le nostre vite. Torni a casa con un senso di "ma che belin ho fatto fin'ora della mia vita?". Sono emozioni che non si vive spesso dopo un film.

E forse è proprio per questo che questo film andrebbe visto, per capire quanto possiamo fare nella nostra vita, soprattutto per gli altri che per noi stessi.
D'altronde, è tutta una questione di gravità...

Cinebrusinante




VALUTESCION
Interstellar (2014)
di Christopher Nolan
con Matthew McConaughey, Anne Hathaway

Scena Top: il ritorno sulla navicella dopo la prima spedizione. 23 anni dopo...

Voto 4/5: qualche lacuna qua e là, ma un godimento per gli occhi.

martedì 12 agosto 2014

Un pensiero infelice



Sicuramente anche a voi sarà capitato.
Possono esserci miglia di distanza a separarvi, magari vi capita di vedervi solo una volta l'anno, a qualche festa comandata o in maniera casuale. Sapete che se alzate il telefono o se chattate su Facebook egli è lì pronto a rispondervi.
Tutti abbiamo quell'amico che c'è sempre anche se non c'è.


Con Robin Williams c'era la stessa sensazione.
Non lo conosciamo di persona, non ci abbiamo mai preso un caffè assieme. Probabilmente egli non sapeva neanche della nostra presenza sul globo. Eppure, seguendo i suoi numerosi film, sapevi di avere un amico anche se non lo si incontrava mai.
Ci sono quelle rare situazioni in cui lo spettatore è talmente attratto dal carisma, dalla bravura, dall'interpretazione di certi attori che si ha un filo diretto con esso.
Robin Williams era questo.


Ci siamo cresciuti con lui, i più grandicelli hanno iniziato un percorso con Robin ai tempi di Mork & Mindy, il suo debutto sul piccolo schermo. Quell'alieno con quelle abitudini particolari e quel saluto ormai divenuto un cult ha fatto breccia nei suoi primi fan.
Al cinema approda invece nel 1980, con l'interpretazione del mitico Popeye.



E da lì ci ha regalato personaggi ed emozioni senza pari, e fatalmente in contrapposizione con la sua vita e, ahimè, con il suo tragico epilogo.
Con Adrian Cronauer ha sbeffeggiato la grande atrocità del conflitto vietnamita portando con i suoi comunicati radio un tocco di allegria, che c'è dell'altro oltre alla guerra.


Con il Prof. Keating ha smosso il torpore mentale di un gruppo di studenti, spingendoli a cogliere l'attimo e a guardare il mondo da un'altra prospettiva, fosse essa da un gruppo segreto di poeti maledetti, da un palcoscenico teatrale o da una cattedra.

Con Peter Banning è tornato bambino, ha riscoperto la semplicità delle cose senza essere avvolto dagli affanni della vita adulta. Un pensiero felice per volare, e capire che vivere può essere un'avventura straordinaria.


Con Daniel Hillard ha ritrovato il modo di stare con i suoi figli, anche a costo di indossare una parrucca, una gonna e un trucco facciale. Con il suo alter-ego, la tata Doubtfire, ha superato ogni ostacolo, giocando con ironia e non fermandosi di fronte a nulla.

Dopo questi capolavori, ecco arrivare a pellicole più adulte, con messaggi più profondi, e con il tanto agognato Premio Oscar vinto con Will Hunting, dove ritroviamo una sorta di Prof. Keating più adulto, più consapevole delle difficoltà della vita, alle prese con un genio sbruffone.
Ha profetizzato inconsapevolmente il suo destino con Al di là dei sogni, trascinandosi fino all'inferno per amore, mentre ha sbeffeggiato la morte con l'ironia di Patch Adams, dove una risata può far dimenticare il dolore.


Negli ultimi anni ha tentato di mostrare il suo lato drammatico, con pellicole come One Hour Photo e Insomnia, ritrovandosi poi a interpretare ruoli minori, uno tra gli ultimi il Theodore Roosevelt della serie Una notte al museo, di prossima uscita il terzo capitolo.
Sicuramente ora saremo più poveri di risate, di riflessioni, di commozioni. Rivedremo i suoi vecchi film con una punta di amarezza, ma con infinita gratitudine, per averci fatto crescere con serenità e divertimento.

Buon viaggio Robin, buon ritorno all'Isola Che Non C'è.



martedì 20 maggio 2014

La finta realtà

Non di solo cinema vive l'uomo, ma è anche vero che molte altre forme d'arte possono finire nel campo cinematografico.
Noi di Brusio in Sala non trattiamo solo dei film proiettati al cinema o quelli già prodotti da diversi anni, ci piace anche andare a trattare argomenti esterni, a toccare dettagli sì cinematografici, ma anche della letteratura, della musica, dell'arte e della fotografia.
E proprio con quella apriremo le danze.

 Quando scatto una foto c'è sempre questa sovrapposizione tra realtà e finzione

Molto spesso la bravura di un fotografo sta nel cogliere quell'istante preciso che narra una bren precisa sensazione. A volte ci vogliono ore, se non giorni, per avere lo scatto perfetto. E' l'istante che si fa catturare dal fotografo.
Per Gregory Crewdson non è così.

Crewdson, nato a Brooklyn nel '62, non aveva la fotografia nel sangue inizialmente, ma la musica. Da ragazzo faceva parte della band punk rock The Speedies, che raggiunse un certo successo con una canzone molto profetica per lui, ovvero Let me take your photo.
E la cotta per una ragazza appassionata di fotografia gli fece scoprire questo mondo. Ogni tanto l'amore compie dei prodigi!

Ed ecco il suo stile: Crewdson non mostra un istante immortalato dopo tanta ricerca ed attesa, ma ricrea quell'istante come vuole lui, a costo di alterare la realtà.
Precisiamo che dicendo "alterare la realtà" non si intende che giocherella con photoshop, si affida al green screen o  utilizza altri trucchetti di effetti speciali, bensì vuol dire che ricostruisce fedelmente, al momento di dover fotografare, la realtà che vuole lui.



In pratica, Crewdson mostra in un solo fotogramma quello che il cinema ci offre in 24 fotogrammi. Le sue fotografie sono pura arte, pura cura del dettaglio, sono una perfezione di luci, colori, posizioni, soggetti, azioni.
Crewdson è un po' il Kubrick della fotografia: il grande regista aveva una cura maniacale dell'inquadratura, se qualcosa andava storto modificava, spostava e reimpostava le cose come dovevano essere. Ad esempio, il suo capolavoro Barry Lyndon, ambientato nel 1700, richiama perfettamente l'atmosfera dell'epoca. Kubrick non utilizzava la luce artificiale in certe scene, ma la luce come era all'epoca, al lume di candela. E se la scena andava rifatta, toglieva le candele utilizzate e le sostituiva con delle nuove, così che nella sequenza montata non si notasse il cambio di lunghezza delle varie candele.
Così è Crewdson: sposta di pochi centimetri un'automobile, fa cambiare leggermente espressione ai soggetti ritratti, reimposta le macchine del fumo per avere lo scenario perfetto.
E di quel soggetto, scatta almeno 50 fotografie, per ritrovare in esse la perfezione. E avere dei capolavori come questi:





Se volete scoprire qualcosa in più sull'opera di Gregory Crewdson, guardatevi il documentario L'istante perfetto - il mondo di Gregory Crewdson, diretto da Ben Shapiro.

 


venerdì 25 aprile 2014

Un cast a 5 stelle!

“Ogni volta che Wes fa un film, c’è un intero mondo, un universo completo da creare insieme ad esso" (Jeremy Dawson)


Ehm, Ehm... iniziamo: The Grand Budapest Hotel è una commedia con tratti demenziali, scenografia e ambientazione meravigliosa e con un cast composto da Ralph Fiennes, F. Murray Abraham, Adrien Brody, Willem Dafoe, Jude Law, Bill Murray, Edward Norton, Owen Wilson, Tom Wilkinson... ( e ne ho citati solo alcuni ).
Ovviamente un buon cast non implica per forza un buon film, ma questa pellicola, oltre agli attori che ne hanno preso parte, è l'insieme di tanti fattori positivi che la portano ad essere unica e da non sottovalutare! 
Questo film è un mix brillante di genialità e comicità, una commedia vecchio stile che richiama gli anni '80/'90 in molti suoi punti, raccontata in modo unico e particolare e realizzato in maniera favolosa anche grazie ai grandi nomi che ci sono all'interno.
Un'interpretazione fantastica e sorprendente da parte di Lord Voldemort... Ehm... di Ralph Fiennes che interpreta Monsieur Gustave, il concierge/direttore del nostro amato albergo nonchè il protagonista di questa storia.
Ottimo lavoro di scenografia che, insieme all'ambientazione, ti trasportano nel folle mondo dell'immaginaria Zubrowka.


Parecchio sottovalutato a mio parere, questo film merita più attenzione, ma si sa come funziona qui da noi, tra le commedie si dà spazio solo agli oramai squallidissimi cinepanettoni.
Ma chiusa questa breve parentesi di lamentela giungo al termine dicendo che The Grand Budapest Hotel è intrattenimento puro per 100 minuti, intelligente e cosparso di ottimi attori anche in piccolissime parti ( molte volte un sorriso vi scapperà solo per le vesti buffe interpretate da famigerati attori) e questo rende tutto ancora più simpatico!
Insomma, se amate le commedie intricate, demenziali al punto giusto e di intrattenimento, non sprecherete il vostro tempo guardando The Grand Budapest Hotel.

Jonathan



VALUTESCION
The Grand Budapest Hotel (2014)
di Wes Anderson
con Ralph Fiennes, Bill Murray

Scena Top: "Vedete, ci sono ancora deboli barlumi di civiltà lasciati in questo mattatoio barbaro che una volta era conosciuto come umanità. Infatti è quello che abbiamo a disposizione nel nostro modesto, umile, insignificante... Oh, Fanculo" M. Gustave

Voto 5/5: una commedia odierna, ma un tuffo nel passato



lunedì 7 aprile 2014

La vita segreta di una divergente americana

La premessa importante da fare è che il mio commento si basa interamente sul film, in quanto non ho letto l'omonimo romanzo di Veronica Roth.

"E' facile essere coraggiosi quando le paure non sono le tue"


Divergent è così, un insieme di argomenti importanti, di scelte difficili, di ciò che è giusto e sbagliato, di ciò che sono gli uomini, ma soprattutto di paure...

Una ambientazione Post­apocalittica ben realizzata: la panoramica su questa Chicago di una annata imprecisata completamente distrutta e isolata dal mondo ti colpisce, le alte mura a delimitare i confini della città e gli enormi palazzi ridotti in macerie ti mostrano come l'uomo stia vivendo il dopo guerra ( il punto a sfavore va dato, però, perchè non ci sarà mai data una spiegazione su questa guerra ne ci saranno mai date informazioni al riguardo nonostante sia un passaggio fondamentale! tutto vago, tutto molto vago...)

Una buona storia ben narrata, ma passata un'ora e, mentre il primo tempo finisce, mi accorgo di come non esista un vero e proprio sviluppo di trama: ebbene sì, i primi 60 minuti tengono un ritmo medio­alto che ti portano ad assumere una comoda posizione sulla sedia per goderti meglio il film ma dà solo accenni molto vaghi su quale potrebbe essere la vera e propria trama. Infatti tu sei lì a porti domande su quale potrebbe essere un probabile finale o cosa possa accadere nelle prossime scene sperando in uno stravolgimento. Il secondo tempo fortunatamente, ingrana la quinta e parte spedito con il proseguimento della trama ma comunque in tutti i 140 minuti il film non ti annoia assolutamente, anzi ti incuriosisce sempre di più...

Una storia "diversa" seppur basata sul classico periodo post­-apocalittico, a mio parere dal lato del pubblico si percepisce poco la battaglia tra le due fazioni (i Divergenti e gli Eruditi), ma risalta molto la lotta tra l'ordine e la bramosia di potere dell'uomo.
Tutto sommato gli "errori", se così vogliamo chiamarli, sono in maggior parte dal lato tecnico, il film in sè è ben realizzato, non ti stanca, anzi, ti immedisimi subito nella protagonista e nelle sue paure anche se la signorina Shailene Woodley non ha sempre una recitazione impeccabile.


Come tutti sappiamo non è mai facile portare la storia di un libro di successo sul grande schermo, su questo non posso commentare, ma il lavoro svolto da Burger non mi è dispiaciuto, il film parla di sani principi e buoni argomenti vicini ai ragazzi come la ribellione, l'ordine e il potere, la pellicola è rivolta principalmente ad un pubblico giovane quindi, tutto sommato, Divergent non spiccherà sicuramente in originalità ma rimane comunque una buona storia.

Jonathan



VALUTESCION
Divergent (2014)
di Neil Burger
con Shailene Woodley, Theo James

Scena Top: Beatrice e il fratello lasciano i genitori per scegliere di appartenere a diverse fazioni

Voto 4/5: uno di quei film che porta i ragazzi nel loro mondo

lunedì 24 febbraio 2014

Prima il latte


Questa è una cosa che davvero non sapevo.
Perchè mettere prima il latte e poi il tè? Ho pensato a questioni di salvaguardia del gusto, o per mantenere una certa temperatura dell'acqua, o per non esagerare poi con lo zucchero.
E invece è una questione di tazza. Mettere prima il latte serve a non far sporcare l'interno della tazza, cosa che il tè notoriamente fa.
Il latte è uno strato protettivo, ecco.
Un po' come il ricordo dell'infanzia della signora Travers protegge la figura di Mary Poppins.

Il caratteraccio della P. L. Travers, interpretata magistralmente da una grandissima Emma Thompson, va in contrasto netto con la bonarietà di Walt Disney, di cui Tom Hanks è stato davvero capace di rappresentarlo.
Noi spettatori di Saving Mr. Banks seguiamo ben due strade durante la visione: da una parte abbiamo il povero Walt che cerca in tutti i modi di interpretare i pensieri della scrittrice, dall'altra abbiamo il passato tormentato della Travers che va ad influire sul presente. Il fatto è che noi riusciamo a capire, a incastrare ogni singolo pezzo di tutta la trama, Disney invece ci mette un intero film a capirlo.
La cosa buffa di tutto questo è che alla fine la cara Mary Poppins non c'entra proprio una mazza. Scusate la terminologia poco tecnica, ma sulla questione mazze torneremo a parlarne a fine post.
Dicevo, dov'è Mary Poppins in tutta la storia? Non la si vede svolazzare da nessuna parte, nè tantomeno saltare dentro dipinti o quant'altro. Beh, se la state cercando guardatevi, appunto, Mary Poppins del 1964. Qua invece il vero protagonista, colui che cambia le sorti di tutto è una delle figure meno seguite e, a volte, meno ricordate di tutta la storia: il signor George Banks, impiegato in banca, poco attento ai figli, tronfio e scettico (il cui interprete, il grande David Tomlinson, è tristemente poco ricordato).
Come capirà alla fine il buon Walt, Mary Poppins non è venuta a salvare i bambini, ma è venuta a salvare il loro padre. Quel padre che la Travers ha amato tanto ma che ha perduto troppo presto, afflitto dal lavoro tanto odiato e dall'alcol.
Ed ecco che la Travers stessa diventerà come il signor Banks: scettica su tutto quello che Walt Disney vuole fare sulla sua creazione, dalle canzoni sciocche ai pinguini animati.
Ma ecco che i ruoli si ribaltano, perchè Disney diviene la Mary Poppins del film: egli salverà il signor Banks, salverà la Travers dal suo passato burrascoso, e regalerà a migliaia di bambini di generazioni future una delle pellicole più belle mai create in casa Disney.


Il film è godibilissimo pure da coloro che non hanno mai visto Mary Poppins, anche se molti richiami al film potrebbero sfuggire. E' strano, anzi, direi un peccato che la Thompson non sia stata nominata agli Oscar.
Le musiche originali di Thomas Newman si abbracciano senza difficoltà ai capolavori eterni dei fratelli Sherman.
Davvero un piccolo gioiello cinematografico, anche perchè trattandosi di un "backstage" di Mary Poppins, è anche una preziosa lezione di cinema, davvero molto interessante e significativa.

Ah, già, parlavamo di mazze.
Essendo un Cinebrusinante, rimango spesso incantato e affascinato dalla fauna che popola le sale cinematografiche. Ora dico, nel corso dei decenni il cinema è stato anche un luogo per passare delle serate in dolce compagnia, molti amori sono sbocciati tra il buio della sala e il fascio di luce del proiettore. Tutto molto romantico, okay, ma io mi domando, ma per certe cose dovevano proprio scegliere Saving Mr. Banks?
Titoli di coda (che, se vedrete il film, li seguirete tutti), giovane coppia tra i 20 e i 25 anni si alza per andare via. Lui, una via di mezzo tra un gorilla e un blocco di marmo, con nonchalance si alza e si riabbottona i pantaloni.
Voglio dire, per certe cose andate nella sala vicino che proiettavano Pompei, data l'assonanza della parola...

Cinebrusinante 



VALUTESCION
Saving Mr. Banks (2013)
di John Lee Hancock
con Emma Thompson, Tom Hanks

Scena Top: la signora Travers non resiste alla canzone dell'aquilone.

Voto 4/5: per gli amanti di Mary Poppins questo film è imperdibile, una piccola perla di recitazione.

mercoledì 12 febbraio 2014

The Wolf of Wall Street - In tre è meglio

Date a Michelangelo un blocco di marmo e vi tirerà fuori la Pietà.
Date a Van Gogh una tela e vi dipingerà una Notte Stellata.
Date a Scorsese il buon DiCaprio e vi darà The Wolf of Wall Street.

Era dai tempi di Quei bravi ragazzi che non si vedeva così tanta cocaina, denaro e tette. E per tutte e tre le cose noi pubblico gliene siamo grati (i maschietti soprattutto per le tette).
Cosa rende affascinante e trascinante questo film, a parte le tette? Prima di tutto il fatto che Leonardo DiCaprio, che Dio lo benedica, è al top delle sue capacità recitative, ha superato tutte le sue precedenti interpretazioni che hanno costellato la sua carriera. E questa sua bravura porta lo spettatore a rimanere ammaliato dal suo personaggio, quel Jordan Belfort che ha fregato il sistema e l'economia degli anni '80 per diventare multimiliardario illegalmente. E' un antieroe, vero, ma tifi comunque per lui, anche se lo prederesti a schiaffi.
Seconda cosa che rende questo film una goduria è il dubbio che assale il pubblico durante la visione: ma lo sceneggiatore è Tarantino? I dialoghi senza senso, o riguardanti futili argomenti, le scene surreali, a volte drammatiche, ma che ti fanno sganasciare ricordano il tocco tarantiniano. E quando il protagonista sfonda la quarta parete per parlare direttamente al pubblico fa molto Woody Allen. Ma è Scorsese, uno Scorsese inedito.
E poi il film ti aiuta un pochino a pensare perchè oggi siamo in queste condizioni economiche. Quanti Jordan Belfort hanno minato le borse mondiali? Quanti ce ne sono ancora adesso? Soldi a palate, case lussuosissime, yacht giganteschi (e vedere quello yacht a Portofino, me che son ligure, ti si apre davvero il cuore. Per Portofino, non per lo yacht...), stragnocche da ogni dove. Ma quanti li hanno guadagnati onestamente? Forse è meglio non sapere la risposta.
Meglio assistere questo film, rimanere divertiti e colpiti dalla genialità di Scorsese. Una fra le tante? Il vero Belfort che presenta il finto Belfort. Ed è subito cinema.

Cinebrusinante



Impariamo tutti a vendere penne.

Toni caricaturali e ironici ma anche un umorismo nero a tratti.
Questo è in sintesi The Wolf of Wall Street. Film del 2013, per la regia di Martin Scorsese, uscito nelle nostre sale il 23 gennaio.
A tratti sorprendente, diverso dal solito Scorsese. Quasi una provocazione per tutti quelli che lo hanno criticato e non lo ritenevano più in grado di stupire.
Ci troviamo a cavallo degli anni 80-90. Il giovane Jordan Belfort (interpretato da DiCaprio) è un broker alle prime armi, che vuole farsi strada nel mondo della finanza e tentare la scalata al successo. Per fare ciò si “affida” a Mark Hanna (interpretato alla grande da Matthew McConaughey), capo di una compagnia di successo, che gli farà da mentore. La scena in cui i due pranzano assieme è semplicemente esilarante, quasi tarantiniana nei suoi dialoghi assurdi e fuori di testa: per dire, si passa dalla cocaina all’importanza di masturbarsi.
Quando tutto sembra andare per il verso giusto, Jordan si ritrova “appiedato” a causa del collasso di Wall Street. Senza però rinunciare, decide di fondare un’agenzia di brokeraggio, la Stratton Oakmont, che ben presto gli assicura successo e fama. Da qui in poi si viene risucchiati in un vortice di eccessi, tra droga, sesso e nani usati come bersagli umani, in una spirale di follia che non sembra mai avere una fine.
Grazie a un DiCaprio e uno Scorsese nel pieno della forma, The Wolf of Wall Street riesce, secondo me, nell’intento di essere un film godibile e divertente nelle sue 3 ore di durata, mai pesanti, probabilmente diventando il miglior film del regista dai tempi di Quei bravi ragazzi.
Riguardo la regia, siamo davanti a una tecnica volutamente eccessiva e senza fronzoli, che bene rispecchia il periodo. Perché stavolta Scorsese non si concentra sull’inquadratura perfetta o su una bellezza stilistica ricercata, anzi. A volte quasi superficiale e senza un minimo di coerenza, non fa altro che sottolineare il degrado della società e l’importanza dei soldi, da cui ne derivano inevitabilmente donne e droga.
Per non parlare di DiCaprio: forse al top della sua carriera, con quello che potrebbe essere per ora il ruolo della sua vita. Dai movimenti delle mani, al modo di porsi alla cinepresa, Leo è al limite della perfezione.
The Wolf of Wall Street è geniale, strafottente e diretto. Come un pugno in piena faccia.
In poche parole, se volete vedere un film divertente, ma soprattutto un bel film, fatevi un favore. Andate a vederlo.


Francesco



23 nomination a premi cinematografici tra cui 5 all'Oscar e 2 ai Golden Globes.
Possiamo noi comuni mortali sederci e criticare quest'opera?
Certo, ma solo noi di Brusio in Sala...

"Risolvete i vostri problemi diventando ricchi." (J. Belfort)

Brillante, geniale, affascinante, tremendamente crudo, diretto ed efficace.
Non avrai un secondo per prendere un respiro, The Wolf of Wall Street ti prende e ti scaraventa violentemente nel suo mondo sin dal primo secondo di film, un mondo che non vorresti conoscere e che sicuramente disprezzi: droga, prostituzione e tanti, tantissimi soldi sporchi, ma non riuscirai a togliere gli occhi dallo schermo neanche un minuto. 
Sarà DiCaprio? Sarà la magia di Scorsese? O sarà quel fantastico lato duro e crudo ma sempre presente? 
Personalmente ho amato questa caratteristica, il film non ha mezzi termini, parte in quinta e tiene questo ritmo quasi fino alla fine, un primo tempo mozzafiato, passano 90 minuti e neanche te ne accorgi. Ciò che mi sorprende è che Martin Scorsese riesce a farti passare davanti agli occhi un argomento davvero pesante con una leggerezza incredibile,  ma forse più che al regista questo complimento sarebbe più appropriato per il protagonista: Leonardo DiCaprio. 
Un commento sul lavoro? La sua miglior prestazione
DiCaprio riesce a creare un personaggio che amerai alla follia, ti mostra la sua crescita, le sue debolezze e le sue doti, commetterà anche molti peccati capitali e infrangerà qualche comandamento, ma chi se ne frega! 
Dal lato comico al lato tragico riesce a toccare alti livelli di recitazione in ogni singola scena, un enorme contributo è anche quello di Jonah Hill, anche lui tra le candidature all'Oscar come Miglior Attore Non Protagonista, ottima recitazione contornata dalla sua solita e fantastica comicità.
L'unica pecca a mio parere è presente nell'ultima parte di film, rallenta il ritmo e cala la tensione: alcune scene potevano essere riviste meglio, un esempio è quello dello yacht che affonda, l'aereo che cade e del successivo squallido teatrino sull'Italia anni 80, ma non sarà di certo questo a cambiare il mio parere sul film. 
Forse è vero, si esagera a parlare di capolavoro, ma è anche vero che in questo periodo non esistono film all'altezza di The Wolf of Wall Street. Ovviamente non bisogna vederlo aspettandosi il miglior film dell'anno nè prenderlo con troppa leggerezza,  alla fine ognuno darà il proprio giudizio e avrà il suo parere, ma sono sicuro che nessuno riuscirà, anche volendo, a disprezzare The Wolf of Wall Street.

Jonathan



VALUTESCION(S)

The Wolf of Wall Street (2013)
di Martin Scorsese
con Leonardo DiCaprio, Jonah Hill

CINEBRUSINANTE'S VALUTESCION

Scena Top: il Lemmon, l'auto bianca, il filo del telefono, il gamberetto e Braccio di Ferro.

Voto 5/5: scordatevi la Wall Street narrata da Oliver Stone, stavolta la realtà nuda e cruda supera ogni fantasia.


FRANCESCO'S VALUTESCION

Scena Top: Mark spiega a Jordan l'importanza della masturbazione

Voto 5/5: la sensazione è quella che possa diventare il capolavoro di quest'epoca cinematografica


JONATHAN'S VALUTESCION

Scena Top: Brad finisce in galera e iniziano i primi guai seri per la società

Voto 5/5: non lo scorderai facilmente

venerdì 7 febbraio 2014

La Francia alla riscossa!

Sorprendente, semplicemente sorprendente. E' così che si presenta Belle & Sebastien, un adattamento cinematografico del celeberrimo Best Seller di Cecile Aubry e dalla serie tv degli anni 80'.


Un gran bel rischio a mio parere portare sul grande schermo una storia così strappalacrime e, soprattutto, lenta nella sua trama; si sarebbe potuto inciampare in un film macchinoso, noioso e privo di ogni emozione. Ma questi imprevedibili francesi, grazie a maestose inquadrature paesaggistiche, ad una buona recitazione da parte della maggior parte del cast e grazie principalmente alla capacità del regista di estrapolare ciò che c'è di più essenziale nella storia, hanno reso questo film davvero particolare! 
La colonna sonora e la musica sempre azzeccata, altro punto a favore del film, tengono il ritmo ad una storia  che ti prende davvero, molte sono le scene in cui una lacrimuccia rischia di scenderti (anche se sei un omaccione e cerchi di nasconderlo).

 

Molto positiva anche la parte scenografica, tutto curato anche nei dettagli, una ambientazione che ti trasporta nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, un aspetto da non sottovalutare in questo genere di film. 
Ma rimaniamo coi piedi per terra, sono presenti anche aspetti negativi: molte volte la trama presenta delle falle in cui per 10 minuti di film non accade assolutamente nulla, e tu sei lì che ti chiedi se il regista sia andato in pausa lasciando gli attori liberi senza guinzaglio per il set. Altro punto a sfavore è lo sviluppo dell'amicizia tra Belle e Sebastien, accade tutto troppo velocemente: si incontrano per la prima volta e il bambino mostra un po' di paura verso quell'animale che tutti chiamano La Bestia, abbassi lo sguardo per agguantare un pop corn e la scena seguente ritrovi i due protagonisti che fanno il bagno insieme felici! 
Tutto sommato gli errori non pesano nello svolgimento del film, questa storia appassionante e ben realizzata ti lascia appiciccato al sedile, desideroso di sapere come si concluderà.
E anche se la trama prende una via totalmente diversa rispetto a quella della serie tv, non rimarrete certo delusi nella visione di questo film adatto alle famiglie e capace di far commuovere bambini e genitori.


Jonathan


VALUTESCION
Belle & Sebastien (2013)
di Nicolas Vanier
con Félix Bossuet (esordio), Tchéky Karyo, Margaux Châtelier

Scena Top: Cesar inganna Sebastien portando Belle vicino alla morte

Voto 4/5: appassionante e commovente

lunedì 3 febbraio 2014

Tutto fumo e niente arrosto!

Recentemente si è unito al blog il caro Francesco con le sue preziose ed interessanti Cronache da Roma. Ma all'equipaggio di Brusio in Sala si è unito un altro personaggio molto interessante, anch'esso con tante cose da dire dopo averle viste al cinema, da una città che sprizza glamour e creatività da ogni via.
Ed è con grande onore e piacere che vi presento le Cronache da Milano!



Non esistono vie di mezzo, Dragon Ball o ti piace o non ti piace! Questo film è una via di mezzo.


Il "Problema" principale lo si scorge già dall'inizio, la presentazione dei personaggi è particamente inesistente, il film in sostanza ti dice "o hai visto la serie in tv o ti attacchi".
La Trama è la solita di sempre, un super­cattivo si risveglia e minaccia di distruggere la Terra, sarà compito di Goku e compagni impedirgli di portare a termine questo compito. Peccato che questo film non si avvicini nemmeno alla famosa serie animata degli anni 90'. Ebbene si, perchè Dragon Ball Z - La battaglia degli dei ha quel non so che di retrò che ti porta alle primissime puntate della serie, in cui la banalità e la comicità regnavano sovrane, ma si dimentica di un qualcosa di fondamentale: i combattimenti. Tutto il film si concentra sull'intrattenere il pubblico, ma ci riesce per metà; le risate non mancano sicuramente, ma se vado a vedere un film su Dragon Ball Z pretendo una scazzottata come si deve! E invece no, si rimane con l'amaro in bocca fino alla sigla finale, le scene d'azione sono davvero poche e anche quando ci sono non ti comunicano un bel niente, perchè questo film semplicemente perde tutti i valori che sono sempre stati presenti nella serie. Basti pensare che l'antagonista Bills chiamato Il Dio della distruzione minacci di distruggere la terra perchè è finito il budino.


Ma il culmine delle assurdità lo si raggiunge quando Vegeta, per distrarre il nemico, improvvisa un balletto dai gusti discutibili che fa perdere al Principe dei Saiyan che conosciamo ogni tipo di orgoglio...


Tirando le somme il film ha pochi aspetti positivi e molti negativi, la delusione è molta soprattutto se si pensa al cast d'eccellenza presente nel film: Masahiro Hosoda (Fist of the North Star, Hunter X Hunter, Street Fighter Alpha e Yu­Gi­Oh! tra le più famose serie a cui ha preso parte) alla regia e Akira Toriyama lo scrittore di Dragon Ball come esempi.
Ma noi vecchi fan non demordiamo, continueremo ad amare indistintamente questa serie che piano piano crescendo ha segnato la nostra infanzia, perchè in fondo Dragon Ball è sempre Dragon Ball

Jonathan


VALUTESCION
Dragon Ball Z - La battaglia degli dei (2013)
di Masahiro Hosoda
con Masako Nozawa, Ryō Horikawa (voci)

Scena Top: trasformazione di Goku in Super Sayan Level God

Voto 2/5: non è proprio quello che ti aspetti...

lunedì 27 gennaio 2014

Le ultime parole famose!



No, il titolo non si basa su qualche barzelletta o vignetta da Settimana Enigmistica.
Il titolo si basa su questa frase, detta (si presume) da USA Today: "Un film destinato a fare il pieno di nomination Oscar".
Ecco, per farvi capire come sono stati leggermente gufi, vi basti pensare che stavolta in sala il numero degli spettatori era inversamente proporzionale al numero di nomination agli Oscar.

The Butler. E' corretto che non abbia avuto nessuna candidatura?
Per certe categorie sì, per altre assolutamente no. Beh, è una regola che potrebbe valere con qualsiasi film, però con questo la faccenda si complica davvero un po'.
Andiamo con ordine: innanzitutto vediamo come la storia è stata sviluppata. Abbiamo due protagonisti. Sì, avete letto bene, DUE protagonisti. Abbiamo due strade, parallele, assolutamente differenti tra loro, ma entrambe con la stessa direzione. Su una abbiamo Cecil Gaine, interpretato da un profondissimo Forest Whitaker, mite uomo nato tra i campi di cotone e cresciuto come cameriere personale dei Presidenti degli Stati Uniti d'America. dico "dei" perchè ne ha serviti ben sette, da Eisenhower a Reagan. La sua è una strada costeggiata da "Sissignore", vassoi d'argento, posate da lucidare e pugnalate al cuore, inflitte dal suo figlio maggiore.

Ed ecco qua la seconda strada con il secondo protagonista: Louis Gaine, interpretato da David Oyelowo, primogenito di Cecil, inizialmente insicuro, poi sempre più consapevole di dover stare dalla parte di coloro che possono cambiare il mondo dei neri. La sua strada ha i bordi assiepati di carceri, botte, insulti, coraggio e a volte pure di stupidità.



La cosa bella è che comunque entrambi lottano per quello di cui fanno parte, Cecil capisce la visione del mondo dai piani alti del potere, e farà la sua piccola rivoluzione per quasi trent'anni per dare valore al lavoro svolto dai neri presso la Casa Bianca.
Suo figlio vivrà i momenti più bui dell'America razzista, dalle segregazioni degli anni '50 agli attacchi del KKK negli anni '60. La marcia di Martin Luther King, le Black Panthers, la lotta per la liberazione di Mandela.

Il cast stellare (persino piccole parti sono interpretate da grandi nomi) narra al pubblico con dettaglio ciò che è stata la storia dei neri negli USA, una storia che molti ancora oggi dovrebbero conoscere. E' una storia poco trattata al cinema, e qua è spiegata davvero al meglio, è ciò che rende il film davvero degno di essere visto.
Ottime interpretazioni, una fra tutte la brava Oprah Winfrey, che torna sgargiante come ai tempi del Colore Viola, belle ambientazioni, musiche toccanti, ricostruzioni storiche accurate, trucco incredibile (un Alan Rickman che sembra la copia di Reagan).
Unica pecca, che m'ha portato diverse volte a prendere a pugni il sedile, il montaggio. Non tanto il montaggio per i salti temporali, quelli vanno bene, per carità. Intendo il montaggio basilare, il montaggio delle azioni. Esempio lampante: Cecil consegna una tazza di caffè a Nixon, vediamo che la posa sulla scrivania. Stacco, la mano di Cecil posa la tazza. ARGH! Errore da pivello! Sembra che certe scene le abbia montate il primo che veniva beccato nei corridoi degli Studios a non fare nulla.

Ma a parte quello, elogio al regista Lee Daniels, che aveva già incantato tutti con Precious. Qua dimostra di saper gestire così tanti attori supernavigati, e di saper narrare una storia bella, di esaltare un uomo umile in un mondo di pugni alzati.

Cinebrusinante


VALUTESCION
The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca (2013)
di Lee Daniels
con Forest Whitaker, Oprah Winfrey
Scena Top: le scene incrociate tra la cena servita da Cecil e le proteste di Louis
Voto 5/5: le sviste tecniche sono ampliamente nascoste dalla grande narrazione. Una vera lezione di Storia.

sabato 18 gennaio 2014

Un buon giorno per fare dell'altro...


Perchè?
E' una domanda lecita, adatta per ogni occasione: perchè metti il parmigiano sulla pasta al salmone? Perchè i tedeschi vanno con calze e sandali tutto l'anno? Perchè fanno doppiare la Bellucci alla Bellucci?
E soprattutto: perchè hanno fatto Die Hard - Un buon giorno per morire?

Nel 2007 il ritorno di McClane dopo 12 anni di silenzio è stata una sorpresa piacevole, con una trama piacevole e dei personaggi piacevoli, e con un Bruce Willis quasi da limonaggio duro.
Il quinto capitolo, invece, è come aver ricevuto per Natale un maglione fatto dalla zia con problemi di cataratta. E ve ne regala uno ogni anno.

Andiamo con ordine, innanzitutto la trama: il vecchio John McClane vola a Mosca per recuperare il figlio in pericolo. Dovrà vedersela con un malvagio magnate russo.
Basta.
Un po' come raccontare le proprie vacanze estive.
E proprio il tema vacanza è alla base di tutto, poichè stile vecchio rincoglionito faranno ripetere "sonoinvacanzacazzo" al povero Willis almeno cinque o sei volte in tutto il film.

Secondo punto: i personaggi.
Beh, Bruce è Bruce, ma tecnicamente alla fine del film ti chiedi "Ma chi era quel pelato?".
L'umorismo mcclanesco e le improvvisazioni tipiche della serie Die Hard qua mancano, o sono talmente poche che rischi di perdertele nel casino generale.
Il figlio, Jack McClane. Il rapporto tra i due è freddo e distaccato da anni, ma tempo un'oretta e sono nello stile "Ehi campione, ti va di fare due tiri a baseball?". Relazioni umane a velocità della luce.
Se fossi una di quelle bonarie signore taglia XXL non credo direi "Oh tesoro, è proprio tutto suo padre!", perchè secondo me questo Jack è stato addottato. Non ha lo stile dei McClane, è simpatico come una tegola, ha la furbizia di un geranio e non ha proprio niente a che vedere con cotanto padre.
Il cattivo: finito il film intoni una litania in memoria dei fratelli Gruber, del generale Esperanza e dell'hacker Gabriel. Quelli sì che erano cattivi, questo lo hanno pescato da qualche cartone animato. Gli manca solo la battuta "Muahahah, sono un genio!". Magari lui un pochetto, ma la figlia direi proprio di no.

Terzo punto: l'azione.
Nei precedenti film il caro John mi camminava su un tappeto di vetri, dava fuoco agli aerei, balzava dai tombini e lanciava automobili contro elicotteri.
Qua mi devasta una autostrada. E basta.
Non succede nulla! E di conseguenza l'equazione diehardesca azione violenta = battuta alla McClane non avviene.
Basta, non riesco a dire di più. Vi do un cosiglio: guardatelo, così avrete maggiore voglia di rivedere i quattro precedenti per ripulirvi dalla sozzura che avete fatto.

Cinebrusinante


VALUTESCION
Die Hard - Un buon giorno per morire (2013)
Di John Moore
Con Bruce Willis, Jai Courtney 


Scena Top: i titoli di coda 

Voto 1/5: aridatece il caro John McClane dei tempi d'oro!